duminică, 19 ianuarie 2020

G.T.di Lampedusa,Il Gattopardo



GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA
Il Gattopardo-Ghepardul

Il Gattopardo

(w.it.)

Il Gattopardo è un romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che narra le trasformazioni avvenute nella vita e nella società in Sicilia durante il Risorgimento, dal momento del trapasso del regime borbonico alla transizione unitaria del Regno d'Italia, seguita alla spedizione dei Mille di Garibaldi. Dopo i rifiuti delle principali case editrici italiane (Mondadori, Einaudi, Longanesi), l'opera fu pubblicata postuma da Feltrinelli nel 1958, un anno dopo la morte dell'autore, vincendo il Premio Strega nel 1959,[1] e diventando uno dei best-seller del secondo Dopoguerra; è considerato uno tra i più grandi romanzi di tutta la letteratura italiana e mondiale.

Il romanzo fu adattato nell'omonimo film del 1963, diretto da Luchino Visconti e interpretato da Burt Lancaster, Claudia Cardinale e Alain Delon.


Tema e storia editoriale
L'autore contemplava da lungo tempo l'idea di scrivere un romanzo storico basato sulle vicende della sua famiglia, gli aristocratici di rango minore Tomasi di Lampedusa, in particolare sul bisnonno, il principe Giulio Fabrizio Tomasi, nell'opera il principe Fabrizio Salina, vissuto durante il Risorgimento, noto per aver realizzato un osservatorio astronomico per le sue ricerche e morto nel 1885. Dopo che il Palazzo Lampedusa fu gravemente lesionato dai bombardamenti dalle forze Alleate durante la Seconda guerra mondiale e saccheggiato, l'autore scivolò in una lunga depressione.


Stemma di famiglia dei Tomasi
Fu scritto tra la fine del 1954 e il 1957, l'anno della morte dell'autore - un erudito appassionato di letteratura, ma del tutto sconosciuto ai circuiti letterari italiani. Il manoscritto venne inviato alle case editrici con una lettera di accompagnamento scritta di pugno dal cugino di Tomasi, il poeta Lucio Piccolo. La spedizione della prima copia (una versione ancora parziale) avvenne il 24 maggio del 1956 da Villa Piccolo, indirizzata al conte Federico Federici della Mondadori. Lucio Piccolo stesso cercò di avere notizie circa l'esito della lettura del manoscritto da parte di Mondadori, inviando una lettera all'amico e collega poeta Basilio Reale, per sincerarsi se la lettura avesse sortito l'esito sperato.[2] Tuttavia, gli editori Arnoldo Mondadori Editore e Einaudi rifiutarono. Infatti, il testo, pur privo di alcuni capitoli, fu dato in lettura prima al conte Federici per Mondadori, poi a Elio Vittorini, allora consulente letterario per Mondadori e curatore della collana I gettoni per l'Einaudi, il quale lo bocciò per entrambe le case editrici rimandandolo all'autore, e accompagnando il rifiuto con una lettera di motivazione. L'opinione negativa di Vittorini, un clamoroso errore di valutazione, fu da lui ribadita anche successivamente, quando il Gattopardo divenne un caso letterario internazionale.

L'avventurosa pubblicazione avvenne solo dopo la morte dell'autore. L'ingegner Giorgio Gargia, paziente della baronessa Alexandra Wolff Stomersee, la moglie psicoanalista di Tomasi, si offre di consegnare una copia a una sua conoscente, Elena Croce. La figlia di Benedetto Croce lo segnala a Giorgio Bassani, da poco divenuto direttore della collana di narrativa I Contemporanei per la Giangiacomo Feltrinelli Editore, e che sollecitava gli amici letterati a segnalargli interessanti inediti[3]. Bassani ricevette dalla Croce il manoscritto incompleto, ne comprese immediatamente l'enorme valore, e nel febbraio 1958 volò a Palermo per recuperare e ricomporre il testo nella sua interezza: decise subito di pubblicare il libro[4], che uscì l'11 novembre dello stesso anno, curato da Bassani. Nel 1959, quando ricevette il premio Strega, la tiratura aveva raggiunto in solo otto mesi le 250.000 copie, divenendo il primo best seller italiano con oltre centomila copie vendute[5].

Il titolo del romanzo ha origine nello stemma di famiglia dei principi di Lampedusa, rappresentato dal Felis leptailurus serval, una belva felina diffusa nelle coste settentrionali dell'Africa, proprio di fronte a Lampedusa. Nelle parole dell'autore l'animale ha un'accezione positiva: «Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra». Tuttavia, proprio sull'onda del successo planetario del romanzo, sarebbe invalso invece un significato negativo, facendo dell'aggettivo "gattopardesco" l'emblema del trasformismo delle classi dirigenti italiane. A ben vedere, è anche vero che fu Tomasi stesso con le sue fiere parole a legare la parola a un significato ambiguo, quando prevede un destino di rassegnazione e di solo illusorio orgoglio per l'Italia futura[6].

Nel 1967 dal romanzo venne tratta un'opera musicale di Angelo Musco, con libretto di Luigi Squarzina.

Trama
Il racconto inizia con la recita del rosario in una delle sontuose sale del Palazzo Salina, dove il principe Fabrizio, il gattopardo, abita con la moglie Stella e i loro sette figli: è un signore distinto e affascinante, raffinato cultore di studi astronomici ma anche di pensieri più terreni e a carattere sensuale, nonché attento osservatore della progressiva e inesorabile decadenza del proprio ceto; infatti, con lo sbarco in Sicilia di Garibaldi e del suo esercito, va prendendo rapidamente piede un nuovo ceto, quello borghese, che il principe, dall'alto del proprio rango, guarda con malcelato disprezzo, in quanto prodotto deteriore dei nuovi tempi. L'intraprendente e amatissimo nipote Tancredi Falconeri non esita a cavalcare la nuova epoca in cerca del potere economico, combattendo tra le file dei garibaldini (e poi in quelle dell'esercito regolare del Re di Sardegna), cercando insieme di rassicurare il titubante zio sul fatto che il corso degli eventi si volgerà alla fine a vantaggio della loro classe; è poi legato da un sentimento, in realtà più intravisto che espresso compiutamente, per la raffinata cugina Concetta, profondamente innamorata di lui.

Il principe trascorre con tutta la famiglia le vacanze nella residenza estiva di Donnafugata; il nuovo sindaco del paese è don Calogero Sedara, un parvenu, ma molto intelligente e ambizioso, che cerca subito di entrare nelle simpatie degli aristocratici Salina, mercé la figlia Angelica, cui il passionale Tancredi non tarderà a soccombere; quella Angelica che, pur non potendo uguagliare la grazia altera di Concetta, ha dalla propria parte l'ingente fortuna economica (sia pur in gran parte derivante dai possedimenti perduti dai Salina e dai Falconeri), così che Tancredi finirà per sposare lei.

Arriva il momento di votare l'annessione della Sicilia al Regno di Sardegna: a quanti, dubbiosi sul da farsi, gli chiedono un parere sul voto, il principe, suo malgrado, risponde in maniera affermativa; e, alla fine, il plebiscito per il sì, pur non esente da trucchi, sarà unanime. In seguito, giunge a palazzo Salina un funzionario piemontese, il cavaliere Chevalley di Monterzuolo, incaricato di offrire al principe la carica di senatore del Regno, che egli rifiuta garbatamente dichiarandosi un esponente del vecchio regime, ad esso legato da vincoli di decenza. Il principe condurrà da ora in poi vita appartata fino al giorno in cui verrà serenamente a mancare, circondato dalle cure dei familiari, in una stanza d'albergo a Palermo dopo il viaggio di ritorno da Napoli, dove si era recato per cure mediche. L'ultimo capitolo del romanzo, ambientato nel 1910, racconta la vita di Carolina, Concetta e Caterina, le figlie superstiti di don Fabrizio.

Il significato dell'opera
L'autore compie all'interno dell'opera un processo narrativo che è sia storico che attuale. Parlando di eventi passati, Tomasi di Lampedusa parla di eventi del tempo presente, ossia di uno spirito siciliano citato più volte come gattopardesco ("Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi")[7]. Nel dialogo con Chevalley di Monterzuolo, inviato dal governo sabaudo, il principe di Salina spiega ampiamente il suo spirito della sicilianità; egli lo spiega con un misto di cinica realtà e rassegnazione. Spiega che i cambiamenti avvenuti nell'isola più volte nel corso della storia hanno adattato il popolo siciliano ad altri "invasori", senza tuttavia modificare dentro l'essenza e il carattere dei siciliani stessi. Così, il presunto miglioramento apportato dal nuovo Regno d'Italia appare al principe di Salina come un ennesimo mutamento senza contenuti, poiché ciò che non muta è l'orgoglio del siciliano stesso.

Il dialogo con Chevalley manoscritto
Egli infatti vuole esprimere l'incoerente adattamento al nuovo, ma nel contempo l'incapacità vera di modificare sé stessi, e quindi l'orgoglio innato dei siciliani. In questa chiave egli legge tutte le spinte contrarie all'innovazione, le forme di resistenza mafiosa, la violenza dell'uomo, ma anche quella della natura. I Siciliani non cambieranno mai poiché le dominazioni straniere, succedutesi nei secoli, hanno bloccato la loro voglia di fare, generando solo oblio, inerzia, annientamento (il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di "fare". [...] il sonno è ciò che i Siciliani vogliono). Garibaldi è stato uno strumento dei Savoia, nuovi dominatori (da quando il vostro Garibaldi ha posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perché adesso si possa chiedere a un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento [...] ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio). Questi avvenimenti si sono innestati su una natura ed un clima violenti, che hanno portato ad una mancanza di vitalità e di iniziativa negli abitanti (... questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l'asprezza dannata; [...] questo clima che ci infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi; [...] questa nostra estate lunga e tetra quanto l'inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo...).

Classificazione come romanzo storico
La vicenda descritta nel Gattopardo può a prima vista far pensare che si tratti di un romanzo storico. Tomasi di Lampedusa ha certamente tenuto presente una tradizione narrativa siciliana: la novella Libertà di Giovanni Verga, I Viceré di Federico De Roberto, I vecchi e i giovani di Luigi Pirandello ispirata al fallimento risorgimentale, drammaticamente avvertito proprio in Sicilia, dove erano vive speranze di un profondo rinnovamento. Ma mentre De Roberto, che fra i tre citati è, per questa tematica, il più significativo, indaga le motivazioni del fallimento con una complessa rappresentazione delle opposte forze in gioco, Tomasi di Lampedusa presenta la vicenda risorgimentale attraverso il machiavellismo della classe dirigente, che alla fine si mette al servizio dei garibaldini e dei piemontesi, convinta che sia il modo migliore perché tutto resti com'era. Questa rappresentazione è naturalmente ristretta, per la prospettiva da cui è descritta; restano fuori dal romanzo molti eventi importanti: solo per fare un esempio, la rivolta dei contadini di Bronte, stroncata nel sangue da Nino Bixio (oggetto invece della novella di Verga).

Da questo punto di vista quindi le mancanze de Il Gattopardo come romanzo storico del Risorgimento in Sicilia sono evidenti. Osservava Mario Alicata: «Una cosa è cercare di comprendere come e perché si affermò nel processo storico risorgimentale una determinata soluzione politica, cioè la direzione di determinate forze politiche e sociali, un'altra cosa è credere, o far finta di credere, che ciò sia stato una sorta di presa in giro condotta dai furbi (dai potenti di ieri e di sempre) ai danni degli sciocchi (coloro che si illudono che qualche cosa di nuovo possa accadere non solo sotto il sole di Sicilia ma sotto il sole tout court)». Il valore de Il Gattopardo va ricercato dunque al di fuori della prospettiva del romanzo storico? La faccenda è ovviamente più complicata di come poteva apparire ai primi lettori dell'opera, se il principe stesso negava di aver voluto scrivere un romanzo storico (semmai un testo intessuto di memoria e di memorie), nella seconda edizione de Il romanzo storico, invece Lukács riconduce Il Gattopardo al canone proprio del genere.

Di recente Vittorio Spinazzola, in un importante lavoro degli anni novanta, Il romanzo antistorico, attribuisce alla triade formata da I Viceré di De Roberto, I vecchi e i giovani di Pirandello, e il romanzo di Tomasi di Lampedusa, la fondazione di un nuovo atteggiamento del romanzo rispetto alla storia; non più l'ottimismo di una concezione storicista e teleologica dell'avvenire dell'uomo (ancora presente in Italia nelle grandi cattedrali di Manzoni e Nievo), ma la dolorosa consapevolezza che la storia degli uomini non procede verso il compimento delle magnifiche sorti e progressive, e che la "macchina del mondo" non è votata a provvedere alla felicità dell'uomo. Il romanzo antistorico è il deposito di questa concezione non trionfalistica della storia, nei tre testi citati il corso della storia genera nuovi torti e nuovi dolori, invece di lenire i vecchi. Malgrado la posizione nuova di Spinazzola, che rilegge in modo intelligente la questione, il problema resta aperto, e la critica non ha ancora trovato una soluzione condivisa su questo tema.

È un romanzo uscito dalla tradizione narrativa ottocentesca, della quale si avverte almeno la presenza di Stendhal; ma nel senso della solitudine e della morte che pervade il protagonista si rivela anche l'influenza determinante dell'esperienza decadente.[8]

Un altro elemento di differenza con altri romanzi storici è il suo essere una trasposizione in un racconto di fantasia di vicende familiari che in parte sono realmente avvenute e sono state tramandate attraverso la bocca dei parenti di Tomasi di Lampedusa. A differenza di romanzi storici come ad esempio I promessi sposi, nel quale nessun dettaglio storico era specificato che non fosse già presente nelle fonti scritte consultate da Manzoni, Il Gattopardo rappresenta esso stesso una testimonianza storica (seppur offuscata dal tempo e dalla tradizione orale) di come una parte della nobiltà visse quel determinato periodo di transizione.

Sterilità e morte
Il modulo narrativo si discosta molto dai canoni del romanzo storico: il romanzo è suddiviso in blocchi, con una sequenza di episodi che, pur facendo capo ad un personaggio principale, sono dotati ciascuno di una propria autonomia. Il fallimento risorgimentale descritto, poi, non è un esempio di uno scarto tra speranze e realtà nella storia degli uomini, ma sembra l'esempio di una norma costante delle vicende umane, destinate inesorabilmente al fallimento: gli uomini, anche re Ferdinando o Garibaldi, possono solo illudersi di influire sul torrente delle sorti che invece fluisce per conto suo, in un'altra vallata.

La negazione della storia, la sterilità dell'agire umano, è uno dei motivi più ricorrenti e significativi del libro; in questa prospettiva di remota lontananza dalla fiducia nelle "magnifiche sorti e progressive", il Risorgimento può ben diventare una rumorosa e romantica commedia e Karl Marx un "ebreuccio tedesco", di cui al protagonista sfugge il nome, e la Sicilia, più che una realtà che storicamente si è fatta attraverso secoli di storia, resta una categoria astratta, una immutabile ed eterna metafisica "sicilianità". Nella descrizione del fallimento risorgimentale, secondo alcuni, si può intravedere un'altra riconferma della legge e degli uomini: il fallimento esistenziale che, negli anni in cui scriveva, Tomasi di Lampedusa poteva constatare.

Correlato a questo è il tema del fluire del tempo, della decadenza e della morte (che richiamano Marcel Proust e Thomas Mann) esemplificato nella morte di una classe, quella nobiliare dei Gattopardi che sarà sostituita dalla scaltra borghesia senza scrupoli dei Sedara, ma che permea di sé tutta l'opera: la descrizione del ballo, il capitolo – secondo alcuni critici il punto più alto del romanzo – della morte di don Fabrizio, la polvere del tempo che si accumula sulle sue tre figlie e sulle loro cose. Si può dire che fra la tradizione del romanzo storico, siciliana ed europea, di fine Ottocento e Il Gattopardo è passato il decadentismo con le sue stanchezze, le sue sfiducie, la sua contemplazione della morte; l'opera di Tomasi di Lampedusa inoltre cadeva in un momento di ripiegamento dei recenti ideali della società italiana e di quella letteratura che si era sforzata di dare voce artistica a quegli ideali.

Il manoscritto
Le fotocopie dei manoscritti originali si trovano presso il Museo del Gattopardo a Santa Margherita di Belice (AG), mentre gli originali sono custoditi dall'erede Gioacchino Lanza Tomasi presso il Palazzo Lanza Tomasi a Palermo, ultima dimora dello scrittore.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa (Palermo,23 decembrie 1896 - Roma, 23 iulie 1957), scriitor sicilian. Este faimos pentru singurul său roman, Il Gattopardo (publicat postum pentru prima dată în 1958)

http://desoncoeur.over-blog.com/article-a-propos-des-deux-guepard-le-sentiment-et-la-demonstration-109744484.html


A propos des deux Guépard, le sentiment et la démonstration

5 Septembre 2012 , Rédigé par Antoine RensonnetPublié dans #Bribes et fragments
De son coeur fait sa rentrée pour le plus grand plaisir des petits, des grands et surtout des chats qui nous lisent nombreux. Aussi, afin de leur rendre un petit hommage, Bribes et Fragments aborde-t-elle en ce jour un film qui porte le titre d'un très gros chat tiré du livre éponyme dont l'élément clé est un grand chien... nolan.
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Le-GuCpard.jpgLe Guépard (1963)

              « L’un des premiers signes de la sérénité reconquise de Don Fabrizio fut donc la reprise de ses rapports fraternels avec Bendico ; l’on put de nouveau admirer le spectacle de l’homme gigantesque qui se promenait dans le jardin avec son chien-colosse. Le chien espérait apprendre à l’homme le goût de l’activité gratuite, lui inculquer un peu de son dynamisme ; l’homme eût aimé que la bête arrivât à apprécier, à travers l’affection, sinon vraiment la spéculation abstraite, au moins le plaisir de l’oisiveté aristocratique ; aucun des deux, on le comprend, ne parvenait à rien, mais ils étaient quand même contents car le bonheur consiste à rechercher des buts et non à les atteindre ; c’est du moins ce que l’on dit. »
 Giuseppe Tomasi di Lampedusa (fragment au Guépard, 1958)



A propos des deux Guépard, le sentiment et la démonstration– Qu’il s’agisse de l’œuvre de référence d’un réalisateur célébré, que celui-ci, malgré son aura, n’ait jusqu’ici jamais attiré, ne change pas grand-chose à l’affaire : il demeure bien peu souhaitable de juger quasi-exclusivement un film à l’aune du matériau dont il est issu ; c’est, aussi, (trop ?) humain. Ainsi, ma vision du Guépard de Luchino Visconti, enfin découvert (et franchement sur le tard), souffre-t-elle de ma lecture, quelques semaines auparavant, du roman éponyme de Giuseppe Tomasi di Lampedusa. C’est par le livre, apprécié, que je vins au film. C’était pour ce dernier, un handicap presque insurmontable car il ne pouvait m’apparaître que pénible adaptation ou stupide trahison. La première proposition l’emporta. En effet, Visconti respecte la lettre du Guépardlittéraire – bien qu’il condense (évidemment) son action et ajoute une inutile séquence révolutionnaire. L’esprit, sans doute, également. Comme Lampedusa, Visconti dresse le somptueux tombeau d’un monde, celui de Don Fabrizio (Burt Lancaster), prince encore fort et déjà abattu, et signe une œuvre obsédée par la mort qui, des magnifiques et solaires champs siciliens aux splendides et paisibles dorures du palais de Donnafugata, partout affleure pour contaminer l’éternité elle-même. On ne peut non plus lui reprocher sa lecture marxiste. Le livre montrait déjà cette noblesse qui cédait la place à une bourgeoisie arriviste. Précipitant le changement de régime en se ménageant une alliance contre-nature pour gagner un peu de temps, sauver les apparences et aussi, pour peu qu’ils acceptent les nouvelles règles, quelques-uns de ses membres (le jeune et cynique Tancredi – Alain Delon – devant incarner ce renoncement intéressé que le héros refuse pour lui-même tout en encourageant son neveu).
Visconti, toutefois, est bien plus intéressé que Lampedusa, tout concentré sur son prince de Salina, par cette situation historique. Toile de fond du roman, elle devient le propos central du film. Inversion, qui pour être légère n’en est pas moins signifiante, du dosage constitutif du premier Guépard. Où Visconti préfère une froide démonstration au témoignage mélancolique et désabusé. Témoignage biaisé d’ailleurs qui donnait son génie à l’œuvre de Lampedusa, celui-ci réinventant son grand-père pour mieux fusionner avec lui. Il en faisait un spectateur grandiose (mais plus guère acteur) de l’inéluctable marche du temps, y ancrait son propre désarroi. Démarche risquée car empreinte de l’assomption de près d’un siècle d’anachronisme. Qui, grâce à la rigueur de l’analyse socio-politique, à la sincérité du sentiment de perte, à l’ironie amère de l’auteur (et du héros), trouvait un prix inattendu. Ce n’est pas celle de Visconti. Le cinéaste se leurre en cherchant un peu de la grâce du roman dans un humour forcé. Sans doute jugés indispensables pour offrir quelques respirations aux trois heures du film, le charme juvénile et outré de Tancredi et Angelica (Claudia Cardinale) ou le ridicule absolu de Don Calogero (Paolo Stoppa) laissent de marbre. Surtout, suivant sa propre logique, Visconti mobilise une échelle de plans inadaptée. Ses séquences sont d’une incontestable beauté et d’une extrême maîtrise mais le réalisateur répugne au très gros plan et à la caméra subjective et choisit d’insérer, toujours ou presque, son Don Fabrizio dans le champ global du mouvement du monde, celui qui l’intéresse, celui duquel le dernier des Guépards se sait désormais exclu. Point qui, dans le film, n’a rien d’une intuitive évidence… Aussi l’infinie solitude de Don Fabrizio transparaît-elle moins. Visconti en surplomb, le héros et les autres encore proches, les distances, complexes et objets de perpétuels réajustements chez Lampedusa, entre Don Fabrizio, le monde et l’auteur sont cette fois réglées par un simple triangle isocèle. Dans ces conditions, on s’étonnerait presque que subsistent du roman les instruments scientifiques du prince et le chien Bendico (non nommé et en qui Lampedusa confiait qu’il s’agissait presque de la clef de son œuvre). Il est vrai que ce dernier ne s’anime plus que pour Tancredi quand, dans le livre, il constituait l’ultime compagnon de Don Fabrizio. Un symbole.

Antoine Rensonnet

Le Guépard (Luchino Visconti, 1963)

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